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Il ritorno di Potere Nero 40 anni dopo


di Guido Caldiron

Da "il manifesto" del 24 febbraio 2005


A 40 anni dalla marcia di Selma e dall'assassinio di Malcolm X, la polizia continua a sparare ai ladri d'auto delle periferie nere e infiamma la Los Angeles black mentre il movimento, sempre più egemonizzato dalla Nation of Islam, si interroga su sé stesso.


A South Central, la Los Angeles nera che si estende smisurata quanto invisibile, verso la periferia meridionale della città, il quarantesimo anniversario dell'assassinio di Malcolm X è stato osservato con la rabbia nel cuore e negli occhi il ricordo di Devin Brown, il ragazzino ucciso giorni fa dalla polizia. Un episodio che ha evocato i fantasmi storici della comunità afroamericana della metropoli californiana che negli ultimi 40 anni due volte è esplosa in violente sommosse razziali in seguito ad azioni di polizia. Nel 1965 fu l'arresto di un automobilista nero a Watts a provocare le proteste degenerate nelle omonime rivolte che in 6 giorni di guerriglia urbana fecero 34 morti e 600 arresti. Nel 1992 il pestaggio di Rodney King e la successiva assoluzione degli agenti colti in flagrante da un video amatoriale, scatenarono l'indignazione e successivamente la rabbia della città messa nuovamente a ferro e fuoco in quattro giorni di incendi, sparatorie e spese «autogestite» in cui persero la vita 54 persone. Ma non sono che i due episodi più celebri nella storia dei martoriati rapporti fra neri e il famigerato Lapd, il dipartimento di polizia che dai tempi di Rodney King ha cambiato tre volte il vertice ed è stato commissariato dalle autorità federali per la sua dimostrata incapacità di correggere le impunite violenze di cui Devin Brown è l'ultima vittima. La notte del 4 febbraio il tredicenne studente di terza media è stato intercettato da una volante della polizia alla guida di un auto rubata in compagnia di un compagno di classe.

Dopo un breve inseguimento, Brown ha perso il controllo dell'auto sbandando contro l'inferriata di un officina meccanica, tentando si fuggire ha innestato la retromarcia e è andato a sbattere contro la macchina della polizia sopraggiunta a qualche metro di distanza. È stato a questo punto che l'agente Garcia dopo aver intimato l'alt ha vuotato contro il ragazzo il caricatore della sua beretta 9mm d'ordinanza, dieci colpi di cui cinque lo hanno colpito, per «legittima difesa» ha dichiarato nel rapporto l'agente che è stato trasferito a lavoro d'ufficio in attesa che venga completata un'inchiesta ufficiale. Al di la dell'età della vittima, l'episodio non è sorprendente per un corpo di polizia che rimane, dagli anni 30, fra i più militarizzati d'America, caratterizzato da un attrazione fatale per le proprie armi da fuoco e portato a pattugliare i quartieri neri e ispanici alla stregua di territori ostili. Gli agenti Lapd hanno una definizione assai elastica di legittima difesa (ufficialmente l'unica circostanza in cui sia sancito l'uso delle armi da fuoco). Questa comprende l'uso della «forza mortale» contro delinquenti in fuga per il teorema precog secondo cui è legittimo sparare contro chi scappa per evitare che commettano «probabili ulteriori cirimini».

La ricorrenza dell'assassinio di Malcolm X, è stata insomma particolarmente amara nella comunità afromaericana costretta a constatare quanto poco le cose siano cambiate dalla sua morte. Non poteva esserci cioè conferma più significativa di quanto ancora rimangano attuali le analisi politiche sferzanti del leader più militante del black power. I neri che ad esempio costituiscono in California il 6,5% della popolazione rappresentano oggi il 30% dei 300.000 detenuti nelle carceri dello stato. La disoccupazione fra gli uomini afroamericani è oltre il doppio della media nazionale e nelle grandi aree metropolitane come Los Angeles esiste una segregazione geografica e culturale di fatto. In queste condizioni rimane più che valida l'analisi di Malcolm, padre ideologico del separatismo nero e dell'autodifesa, applicata dopo la sua morte dalle pantere nere.

Questo almeno il sentimento al funerale di Devin Brown - nella Bethel Ame Church su Western avenue (le spese sono state pagate dal gangsta rapper Snoop Dog), a pochi passi da dove è stato ucciso. C'erano un migliaio di persone stipate più altre fuori, coro gospel appassionato e una folta rappresentanza della Nation of Islam in un'atmosfera inusualmente ecumenica. «Se necessario formeremo un possente esercito per far capire all'oppressore che mai più permetteremo che ci rapiscano un figlio» tuonava l'imam Tony Muhammad attorniato da pastori battisti. Fuori dalla chiesa il feretro è stato salutato da un picchetto d'onore in tuta mimetica che scattato sull'attento scandiva ritmicamente lo slogan «Black power! Death to the Pigs!»: i Black Riders formazione di giovani neri che riprende oltre agli slogan, lo stile e le iniziative della pantere nere comprese ronde di ordine pubblico nei quartieri e documentazione video delle ronde di polizia.

Quest'anno ricorre anche l'anniversario della marcia su Selma e Montgomery e del voting rights act che sancì ufficialmente il diritto al voto per i neri nonché quello delle rivolte di Watts. Un black history month particolarmente carico di significato per un movimento nero che fa il punto della strada percorsa in 40 anni di lotta. «C'è qualcosa che non va se dobbiamo sempre attendere che sia una crisi, un ragazzo morto o una sommossa a focalizzare l'attenzione dei politici sui nostri problemi» mi ha detto Earl Ofari Hutchinson conduttore di un programma settimanale alla radio progressista Kpfk di Los Angeles dopo un assemblea organizzata a South Central per coordinare la risposta all'uccisione di Brown. «C'è decisamente una crisi di leadership nel movimento. Anzi non ce n'è proprio più. Molti dei protagonisti originali del movimento dei diritti civili non ci sono più, altri sono statai cooptati e 40 anni dopo Selma eccoci ancora qui a discutere della morte violenta di un giovane brother».

Inondata di proteste, la polizia ha deciso di «sconsigliare» d'ora in poi l'uso delle pistole contro «auto in movimento». Modificato l'atteggiamento verso le automobili rimane invariato invece quello nei confronti degli umani di pelle più scura abitanti dei quartieri fatiscenti, nascosti dietro una cortina di oblio. Ma per il movimento african-american il problema va al di la dei soli abusi di polizia. La crisi è profonda e trasversale e coinvolge non solo le storiche formazioni come la National Association for the Advancement of Colored People (Naacp) ma si estende a un dibattito generale sulle strategie e gli obbiettivi di un movimento che ha in gran parte perso unità di intenti di fronte a una maggiore integrazione almeno apparente nel processo politico, l'endemica apatia e crescente qualunquismo delle nuove generazioni urbane, un revisionismo «interno» che critica il vittimismo legato alla tradizionale dialettica della rivendicazione e giunge nei casi più estremi a invocare lo smantellamento di programmi sociali come l'affirmative action che riserva quote d'accesso alle minoranze nelle università e negli impieghi statali. Tutto mentre gli strateghi neoconservatori di Karl Rove & co. hanno designato i neri come obbiettivo tattico da scardinare dall'egemonia democratica usando la leva dei «valori morali», come l'opposizione ai matrimoni gay, per fare breccia negli ambienti religiosi neri.