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La lunga strada verso Hollywood: breve storia del Black Cinema


di Simona Ripamonti

Da "L'Isola Del Tesoro"

 

Che il 2001 abbia segnato un momento d'oro per il cinema black, è indubbio. Già le candidature di tre attori afro-americani nelle categorie principali e il riconoscimento alla carriera di Sidney Poitier apparivano un traguardo importante, ma l'Oscar al miglior attore e alla miglior attrice sembrano veramente porre fine, almeno nel cinema, alla discriminazione razziale. Halle Berry, nel suo commosso discorso, ha dedicato il premio a tutte quelle attrici di colore che, nella corso del tempo, non avevano mai ricevuto onori. La storia degli attori di colore ad Hollywood è infatti antica, praticamente fin dai suoi esordi compaiono attori afro-americani nel cinema statunitense. Le radici di questa partecipazione vanno cercate negli spettacoli di vaudeville, di Minstrelsy, di fine Ottocento. Attori bianchi, truccati da neri, cantavano e suonavano le canzoni tipiche degli schiavi. Con l'abolizionismo si iniziano ad ingaggiare veri e propri attori di colore. I personaggi, stereotipati, che caratterizzano questi spettacoli sono tratti dalla tradizione schiavista.

C'é il Coon, il buffone negro, stupido e fannullone. Il Pickaninny, praticamente la versione infantile del Coon, ragazzine tutte treccine e faccette. Il bambino di Piccole Pesti è la trasposizione cinematografica di questo stereotipo. Con la pubblicazione del romanzo La capanna dello zio Tom, ottiene un grosso successo la figura dell'Uncle Sam, lo schiavo che vuole la felicità del padrone più della propria. Nel 1914, proprio per la realizzazione del film tratto da questo romanzo, viene scritturato per la prima volta un attore di colore. Questo personaggio ottiene un notevole successo di pubblico perché rappresenta un nero degno della simpatia dei bianchi, uno schiavo umile e sottomesso. Le stesse caratteristiche che invece fanno indignare la comunità di colore americana. A fianco dello stereotipo Zio Sam compare lo Zio Remo, il bon sauvage abile raccontatore di favole. Versione femminile del Coon è la Mummy, indimenticabile quella di Via col vento, interpretata da Hattie McDaniel (prima attrice afro a vincere un Oscar come attrice non protagonista proprio per questa interpretazione).

Altra tipologia di personaggio è la Tragic Mulatto, donne (ma anche uomini) che essendo per metà bianche e per metà nere vengono rifiutate da entrambe le culture. Questi stereotipi, che nascono nel vaudeville, proseguono anche nella tradizione cinematografica, come si è potuto notare dagli esempi citati. Nel 1916 l'uscita nelle sale di Nascita di una Nazione di David W. Griffith, segna l'inizio della presa di coscienza della popolazione nera americana. Nasce la necessità di creare un cinema indipendente nero, che porti sullo schermo figure realistiche e non gli stereotipi legati alla tradizione bianca. Per di più, a seguito delle proteste e dei disordini che il film crea tra la popolazione di colore, le case di produzione americane preferiscono togliere del tutto le parti agli attori di colore. All'interno del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) si creano due diverse istanze: da una parte si vuole cercare l'aiuto dei produttori bianchi per migliorare la rappresentazione dei neri sullo schermo, dall'altra l'ala più intransigente del movimento cerca di fondare un cinema indipendente nero, del tutto autonomo da quello bianco. 

All'inizio degli Anni Dieci William Foster fonda la Foster Photoplay Company e nel 1914 esce il suo primo film, The Raider Porter. Foster cerca di portare sullo schermo figure reali di neri ma non riesce, anche per la mancanza di pubblico di colore, a reggere la concorrenza. Non solo non esistevano, infatti, sale per neri, ma spesso era vietato loro entrare in quelle per bianchi. Nel 1915 i fratelli Johnson fondano la Lincoln Motion Picture Company e concepiscono l'idea giusta, realizzare film per la nascente borghesia nera urbanizzata. I protagonisti dei loro film sono personaggi di colore, istruiti e appartenenti alla classe media, che cercano a fatica la propria identità e acquistano coscienza di sé con coraggio. Ma è la figura di Oscar Micheaux la più importante del periodo. Scrittore, sceneggiatore, produttore, regista e anche distributore per certi versi può essere considerato il vero fondatore del cinema nero indipendente. Nella sua lunga carriera, iniziata nel 1919 con The Homesteader e durata quasi vent'anni, produce 40 film, ne dirige una trentina e nel 1987 gli dedicano una stella in Hollywood Boulevard. Nei suoi film vengono affrontati per la prima volta temi scomodi quali i rapporti sessuali interrazziali, la prostituzione, il gioco d'azzardo tra la comunità black e il passing, il desiderio cioè dei neri di assomigliare, di imitare i bianchi. Proprio per queste sue caratteristiche di rottura il cinema di Micheaux verrà preso come modello negli anni Settanta, quando si avrà l'esplosione della Blaxploition, il cinema black indipendente. La società di Micheaux conosce una certa fortuna, un po' per gli argomenti trattati, un po' perché il regista costruisce sale di proiezione dove distribuire i propri film. 

L'avvento del sonoro, a cavallo degli anni Venti e Trenta, pone dei nuovi problemi per l'industria cinematografica nera. Infatti, le nuove tecnologie sono costose e gli introiti dei film di colore non garantiscono basi economiche sufficienti per l'adeguamento delle strutture. Per questo alcuni componenti dell'industria cinematografica nera cercano l'appoggio delle Major. Spencer Williams, ad esempio lavorerà come consulente per la Paramount e produrrà film black riproponendo però la divisione dei generi tipica dei film hollywoodiani: western, film bellici, drammi storici. Ancora una volta il cinema black non può fare a meno di rifarsi al cinema bianco, di cercare se stesso ma all'interno delle tipologie bianche. L'introduzione del parlato rappresenta un passo indietro per gli attori di colore. Infatti, proprio le naturali doti artistiche dei neri riportano le parti a loro affidate ai tempi del vaudeville.

È la figura del nero ballerino e cantante che trova nuovo successo. Proprio in questi nuovi musical debutta una nuova generazione di attori pieni di talento. È il caso di Paul Robeson, di Lena Horn, o di Josephine Baker. Robeson inizia la sua carriera in un film di Micheaux, Body and Soul, ma ottiene il grande successo con il film L'imperatore Jones di Dudley Murphy (1933). Per la prima volta il cast è costruito intorno all'attore principale nero. Non riuscendo più ad ottenere parti dignitose in America, Robeson decide di trasferirsi in Europa. Stessa decisione prende anche Josephine Backer. Robeson ottiene un notevole successo nei teatri di Londra con Otello, mentre la Backer diventa famosa come stella dell'avanspettacolo. Un'altra attrice di talento di questo periodo è senza dubbio Lena Horn, scritturata per la MGM, che nel 1943 gira Due cuori in cielo un musical di Vincente Minnelli con cast interamente nero. 

Il Secondo Dopo Guerra è un periodo di grandi cambiamenti per gli americani. Dopo aver combattuto contro il nazismo, portatore di ideologie razziali, gli Stati Uniti si interrogano su se stessi. Nascono le prime lotte per la parità dei diritti, ma stranamente niente di tutto questo appare sugli schermi. Il decennio si apre con la candidatura all'Oscar come miglior attrice non protagonista di Ethel Waters, per la parte della nonna di Pinky nel titolo omonimo. Il film è ancora la storia di una tragic mulatto che torna al Sud e deve decidere, aiutata dalla Waters, se rimanere tra la sua gente o cercare il successo tra i bianchi. La cosa più sbalorditiva è che la parte principale, quella della ragazza mulatta, viene affidata a una bianca, sembra di essere tornati ai tempi del minstrelsy. Se da un lato i ruoli affidati ai neri non migliorano sostanzialmente, dall'altro è un periodo di grandi protagonisti di colore. Oltre alla ricordata Waters in questi anni comincia la carriera un giovane attore nero, raffinato, educato, ma soprattutto integrato, appartenente alla classe dei neri borghesi urbanizzati: Sidney Poitier.

Proprio per queste sue caratteristiche Poitier viene accettato anche dai bianchi e proprio per queste sue caratteristiche viene criticato dai neri. Ancora una volta il gli afro-americani sono divisi tra la voglia di integrazione e il bisogno di indipendenza dai bianchi. La carriera di Poitier comincia nel 1950 con Senza via di scampo di Donaldson. Prosegue poi con i film Il seme della violenza ( 1955), I gigli del campo ( 1963, che gli valse l'Oscar come miglior attore protagonista, l'unico attore nero a riceverlo fino a quest'anno), Indovina chi viene a cena? ( 1967) e La calda notte dell'ispettore Tibbs ( 1967). Sempre in questi anni ottiene enorme successo nelle parti di tragic mulatto Dorothy Dandridge, prima donna candidata all'Oscar come attrice protagonista per il film, tratto dall'opera di Bizet, Carmen Jones di Otto Preminger nel 1954. Cinque anni dopo interpreta Porgy and Bess, sempre in una parte simile. Nel 1956 partecipa anche ad un film italiano, Tamango. Ma la tragica fine della Dandridge, morta suicida a 41 anni e dimenticata da tutti, ci fa capire come la condizione degli attori neri non sia sostanzialmente cambiata. Le donne di colore vengono sempre considerate delle ammaliatrici passionali, che inducono gli uomini bianchi in tentazione. Stessa sorte per gli attori di colore, che vengono rappresentati solo attraverso la loro fisicità ma che non hanno mai rapporti con donne bianche a meno che non si tratti di rapporti violenti. 

Gli anni Sessanta sono gli anni delle lotte più dure, quelle di Martin Luther King e di Malcolm X. Nel 1965 Malcolm X viene ucciso, stessa sorte che capita nel 1969 sia a Martin Luther King che a Robert Kennedy. Due anni dopo, non a caso, esce il film di Malvin Van Peebles Sweet Sweetback's Bad Assss Song, considerato il capostipite del nuovo cinema nero. Se infatti fino a quel momento i black movies erano rivolti soprattutto ai neri borghesi "inseriti", il film di Peebles cambia direzione e mostra i neri dei ghetti, usa un linguaggio crudo e scene sensuali. Gli eroi dei suoi film sono gli spacciatori, i ruffiani, i giocatori d'azzardo. Nello stesso anno esce nella sale anche Shaft, storia di un investigatore ben diverso dall'ispettore Tibbs di Poitier.

Sesso, violenza e linguaggio colorito, questi sembrano essere gli elementi richiesti dal pubblico e non solo da quello di colore, visto il notevole successo che riscuote anche tra i bianchi. Alla fine degli anni Settanta, influenzati da Peebles ma coscienti anche della tradizione dei film neri di Micheaux, nasce tra gli studenti delle università, specialmente la UCLA, il Black Indipendent Filmmaking Movement. Non si possono tracciare le linee generali di questo movimento poiché tra gli aderenti sono differenti gli stili, le ideologie, le forme. Il più famoso regista uscito da questa "scuola" è Spike Lee. Per quanto una certa critica lo accusi di essersi addolcito con gli anni (e con il successo) i suoi film sono sempre legati a tematiche sociali incentrate sul rapporto tra le razze. Tra i titoli più importanti ci sono Lola darling (1986), Fa la cosa giusta (1989, con Denzel Washington), Mo' better Blues (1990, sempre con Washington), Jungle Fever (1991, che segna l'esordio di Halle Berry), Malcolm X (1992, che diede a Washington la candidatura all'Oscar come miglior attore protagonista) e He got a game (1998). 

Grazie soprattutto all'esperienza di Peebles che ha mostrato come sia possibile ottenere forti guadagni rivolgendosi ad un pubblico nero, le Major sperimentano la formula del Buddy movie, film in cui la coppia protagonista è formata da un nero e da un bianco. I successi più eclatanti sono nelle sale Beverly Hills Cup e alla TV la serie Stursky e Hutch. Questi film piacciono anche al pubblico di colore che non vuole più solo cinema di neri per neri ma ha voglia di sentirsi parte del Grande Cinema, quello hollywoodiano. Il filone dei buddy movie ha attraversato tutti gli anni Novanta e continua fino ad oggi, l'ultimo esempio è Men in Black con Will Smith affiancato da Tommy Lee Jones. Accanto ai buddy movie è da registrare anche un'altra tendenza delle grandi case di produzione, l'appropriazione delle tematiche legate alla cultura nera da parte dei registi bianchi per farle diventare proprie. Appartengono a questo filone titoli come Il colore viola di Spielberg, Soul Man e The Blues Brothers di John Landis. 

Arriviamo così ai giorni nostri e alla storica premiazione di poche sere fa. Ma ormai sono molti gli attori di colore che appartengono allo Star System, oltre al già citato Washington, Whoopy Goldberg, Will Smith, Morgan Freeman,… 

Ma forse, come ha dichiarato Denzel Washington, la vera parità si raggiungerà solo quando si parlerà della bravura degli attori senza citarne il colore delle pelle.